lunedì 22 febbraio 2010

Allattamento e comportamento

Diremmo mai ad una mamma di smettere di carezzare, baciare, consolare suo figlio arrivati ad una certa età? "Ora tuo figlio ha due anni, smetti di consolarlo se pensi che ne abbia bisogno, è grande può bastare, sennò lo vizi.."

Allattare è un gesto d'amore e come tale non ha per natura limiti di tempo, l'amore non è a tempo! Gli ormoni coinvolti nel processo di lattazione materno sono gli stessi responsabili del concepimento e del parto, poiché l'allattamento è parte della vita sessuale di una donna.

La madre che sceglie di allattare a lungo il proprio bambino lo deve fare in un mondo che vede il seno soltanto come oggetto di attrazione sessuale senza considerarne la funzione fisiologica primaria.

Come non ci sogneremmo mai di entrare nell'intimità di un atto di amore che porta al concepimento, così dovrebbe essere quando un mamma nutre il suo bambino al seno. Ogni relazione d'amore ha le sue regole, la propria intimità, e nessuno può interferire in quella coppia, che oltre al nutrimento si sta scambiando un codice affettivo e relazionale che resterà nella loro memoria per sempre.

Invece, è prassi che una mamma che allatta il suo bambino diventi bersaglio di facili commenti da parte di chi assiste alla poppata. Commenti che si inaspriscono con l'aumentare dell'età del piccolo allattato, soprattutto in società come quella italiana, dove la cultura suggerisce modelli genitoriali a basso contatto.

Ormai sono numerosissimi gli studi che riguardano l'allattamento al seno nelle varie culture e i risultati non sono proprio così scontati per realtà come la nostra. Spesso le mamme si lasciano condizionare da chi hanno intorno come amiche e parenti, e da ciò che sentono dire o leggono su libri e giornali dedicati a loro, poiché ancora non esiste nel nostro Paese una cultura che sostiene l'allattamento al seno, né esistono modelli a cui fare riferimento. Le madri che allattano a lungo il più delle volte devono nascondersi, o mentire a chi hanno d'intorno.

Mary Ainsworth (1), famosissima psicologa, grazie ad alcune ricerche da lei compiute in Africa, già nel 1972 ipotizzava che l'età di svezzamento dei bambini dovesse essere intorno ai due/tre anni e che le modalità di allattamento al seno a richiesta, anche di notte, dormendo vicino al bambino e allattandolo per farlo addormentare, contribuirebbero a rendere il bambino più sicuro di sé e aumenterebbero la sua fiducia nel fatto che la madre comprenda i suoi segnali ed i suoi bisogni. Ciò costituirebbe una sorta di iniezione di fiducia e di sicurezza a cui il bambino farebbe riferimento per tutta la vita nei momenti di difficoltà.

Katherine Dettwailer (2), antropologa americana, comparando l'allattamento dei primati e analizzando la letteratura sull'età di svezzamento nelle varie culture, fa notare come esistano usanze molto diverse fra i vari popoli della Terra, sull'età ideale in cui si dovrebbero svezzare i bambini; in base ai suoi studi questa autrice afferma che se lo svezzamento avvenisse senza farsi condizionare dalle regole della società di appartenenza e fosse rispettato il processo biologico scelto dalla natura da migliaia di anni attraverso la selezione naturale, questo avverrebbe in un'età compresa fra i due anni e mezzo e i sette.

È chiaro che nelle società civilizzate la mancanza di allattamento è compensata dalla diffusione dell'igiene e dalle cure mediche, ma non è ancora sufficientemente valorizzato che oltre a queste esigenze il bambino, attraverso il contatto col seno di sua madre soddisfa anche il proprio bisogno di sicurezza, di affetto e di rassicurazione.

Maria Ersilia Armeni (3), pediatra italiana e consulente IBCLC di allattamento, afferma che: "La psicologia italiana è uno dei pilastri della legittimazione a sospendere l'allattamento protratto oltre i primi mesi poichè non è al corrente del profondo radicamento dal punto di vista ormonale e fisiologico dell'allattamento nella donna e nel bambino. Questo rappresenta una copertura che la nostra società adotta per rivestire di legittimità comportamenti e pratiche che non rispondono affatto alle esigenze biologiche dei nostri bambini".

Nella nostra società gli psicologi pensano addirittura che allattare un bambino oltre il primo anno di vita, possa provocare un danno psicologico, una limitazione all'acquisizione dell'autonomia del bambino, ma non esistono dati scientifici che lo dimostrino, né si spiegherebbe come un comportamento così pericoloso per l'individuo sarebbe stato selezionato nell'adattamento della specie fino ad arrivare ai giorni nostri.

Alcuni psicologi e pediatri colpevolizzano addirittura le madri che non svezzano il bambino dal seno entro il primo anno, affermando che queste abbiano difficoltà proprie nello staccarsi dal bambino e di fatto, contribuiscono a generare in loro sentimenti di sfiducia in sé e di confusione circa l'ascolto dei propri istinti di accudimento dei bambini e non le aiutano di certo a prendere decisioni consapevoli e autonome.

Ciò non significa che una mamma debba allattare per forza e a lungo, ma soltanto che se la mamma ha questa intenzione va rispettata e sostenuta. Questo è un aspetto nodale che vorrei mettere in risalto: alcuni psicologi vorrebbero sostenere le mamme ma di fatto, ne mettono a rischio l'autostima e l'autonomia decisionale, per pura disinformazione. Si pongono in maniera autoritaria e direttiva rendendole dipendenti, anzichè promuovere in loro l'attivazione delle risorse e delle proprie competenze, rispettandone le scelte.

Si rifletta anche sul termine "svezzamento" che letteralmente significa "togliere il vezzo", cioè il vizio. Passa il messaggio che allattare vizia il bambino. È il punto di partenza in base al quale si crea un immaginario collettivo non corretto, in quanto gli studi dimostrano che le mamme che allattano a lungo sono quelle dotate, per caratteristiche personali di un maggior senso di autoefficacia.

Anche l'espressione "allattamento prolungato" è discutibile: prolungato rispetto a cosa? Se neanche l'OMS dà un limite oltre il quale si deve smettere di allattare, perché lo devono dare gli psicologi o tutti gli pseudopediatri che circondano una mamma che allatta?

Carlos Gonzales (4), pediatra spagnolo, padre di tre figli e fondatore dell'associazione catalana per l'allattamento materno afferma che non esiste nessun limite all'allattamento materno, che non esiste alcune motivazione, medica, psicologica o nutrizionale per svezzare obbligatoriamente ad una certa età. Che le donne sono libere di decidere quanto allattare senza farsi condizionare dalle opinioni di esperti o presunti tali.

Michele Grandolfo, dirigente di ricerca dell'Istituto Superiore di Sanità, afferma che allattare è una questione di espressione di competenze. Ci fa notare che nel campo della promozione della salute l'obiettivo fondamentale dovrebbe essere quello di informare le donne e le loro famiglie per aiutarle a prendere decisioni autonome e consapevoli come espressione della propria competenza.

Soltanto così si avrà il vero empowerment: la donna avrà così più fiducia in sé e nella propria capacità di far fronte ai problemi risolvendoli grazie ad una maggiore capacità di ricerca della salute.

Perciò il vero potere della mamma dovrebbe essere rappresentato dall'autonomia e non dalla dipendenza da esperti che tendono a dominare e ad indirizzare scelte e comportamenti. L'espressione libera e autonoma delle proprie competenze che prima di diventare madri, non ci si sarebbe neanche immaginati di avere, dà forza alle mamme ed è associata ad una maggiore durata dell'allattamento.

Gli studi condotti da questo autore provano che non è una questione di stabilire quanto allattare, o se esiste un'età prestabilita per staccare il bambino dal seno materno, quanto invece, di mettere la mamma nelle condizioni di sentirsi forte, informata e autonoma nel compiere la propria scelte circa come, quando e soprattutto quanto allattare.

Esistono inoltre ricerche che mettono in luce che ciò che influisce maggiormente sulla decisione delle madri circa la durata dell'allattamento: sono le opinioni delle persone che circondano la mamma che allatta. Più a lungo la mamma allatta e meno supporto trova intorno a sé.

Risulta evidente quindi, che il problema è esclusivamente culturale, una cultura non del sapere, ma dell'ignoranza nel vero senso della parola, perché di fatto, l'allattamento non è materia di studio nei programmi universitari delle facoltà di Psicologia italiane. Eppure gli psicologi esprimono a gran voce pareri sfavorevoli all'allattamento oltre i primi mesi di vita, ignorandone i meccanismi psicobiologici.

Braibanti (5) affermava stupendamente che "allattare a lungo fa bene sia alla mamma che al bambino e che dal punto di vista materno, oltre ai vari effetti positivi sulla salute della donna, l'allattamento favorisce più saldi legami di attaccamento nei confronti del bambino e una maggiore competenza nell'interazione precoce. Questo accresce la fiducia della madre verso il bambino e verso se stessa; quindi tiene lontani atteggiamenti iperprotettivi e di simbiosi prolungata che nascono dalla mancanza di sicurezza sia verso se stessa che verso la relazione col proprio bambino.

La separazione in età precoce e gli atteggiamenti di disconferma della competenza femminile nel ruolo madre-nutrice rafforzano, invece, i sentimenti di insicurezza e di crisi. Quindi l'allattamento protratto non può essere dannoso né per la madre né per il bambino, né da un punto di vista psicologico, né fisiologico. Non c'è evidenza alcuna che l'allattamento protratto sia sintomo di difficoltà nella relazione normale tra madre e bambino".

Alexander Lowen (6), psicologo, padre della bioenergetica, afferma che "Il neonato ha bisogno del contatto fisico con sua madre così come ha bisogno del cibo e dell'aria. L'intimità necessaria si raggiunge soprattutto attraverso l'allattamento al seno. Soltanto il bambino sa di quanto contatto ha bisogno e per quanto tempo, alcuni bambini ne avranno bisogno più di altri.

Il contatto del bambino col sistema energetico della madre eccita l'energia del suo sistema e lo fa avvicinare al petto di sua madre. Se il bambino viene allattato circa tre anni, quello che a mio avviso è il tempo richiesto per soddisfare i suoi bisogni fondamentali, lo svezzamento non sarà traumatico e molti disturbi mentali potrebbero essere spiegati".

Questo autore pone a mio avviso una questione fondamentale: quella del bisogno primario, oggettivo ed universale di tutti i bambini, di contatto.

Vorrei citare infine, la pediatra Elena Balsamo (7) che riflette sulla questione della durata dell'allattamento secondo l'approccio dell'etnopediatria, branca della pediatria che compara le modalità di accudimento dei bambini nelle varie culture tradizionali della Terra.

A mio parere, soltanto così si può avere un quadro reale di ciò che è adattivo per l'essere umano e di quali sono i bisogni reali e geneticamente predeterminati di mamme e bambini ovunque essi vivano, non ha senso riferirsi ad un unico parametro culturale, poiché in sé troppo riduttivo e limitante circa le risorse da attivare quando ci si relaziona con un bimbo.

Ebbene, secondo questo approccio si è rilevato che nella maggior parte delle culture tradizionali del mondo le donne allattano con una durata media di circa due anni. Ciò che ha determinato il grande cambiamento in fatto di alimentazione infantile lo dobbiamo al processo di industrializzazione e lo svezzamento precoce è un'invenzione occidentale e post-industriale.

L'autrice inoltre afferma che permettere ad ogni bambino di lasciare il seno della mamma nel momento in cui è pronto, così come scegliere la frequenza e la durata dei pasti è un grosso aiuto allo sviluppo dell'autonomia e della capacità di operare scelte consapevoli in futuro. Nelle culture dove ciò avviene, i bambini sono più sicuri e meno aggressivi da adulti.

Eppure molti pensano che una mamma che permette ciò sia schiava del bambino e che non si sappia imporre, quando magari per lei sarebbe un piacere se solo non si sentisse osservata e giudicata.

Forse i bambini imparano così anche la differenza fra gli oggetti e le persone: la mamma che abbia voglia di offrire il seno in carne ed ossa anche al momento dell'addormentamento, fatta di calore, disponibilità, sguardi e scambi comunicativi da cui imparare a relazionarsi come esempio per i rapporti del futuro, è certamente altro rispetto ad un oggetto da portarsi a nanna.

Eppure questa visione suggerisce ai più, sempre per condizionamenti culturali, a mio parere, che il bambino venga viziato e non abbia regole, che sia maleducato. L'indagine antropologica ci dice esattamente il contrario e penso che ci vorranno ancora molti studi e molti anni perchè queste informazioni raggiungano tutti; non tanto per convincere su ciò che sia meglio fare e per dare indicazioni di comportamenti ai genitori, ma con il solo obiettivo di dare spunti di riflessione per poi poter mettere le famiglie nella migliore condizioni di compiere scelte consapevoli autonome, informate e generatrici di salute sia fisica che mentale a lungo termine.

Credo che i bambini imparino praticamente tutto dall'esempio che gli viene dato dai genitori e da chi si prende cura di loro. Se questo è un esempio di assenza e di carenza di contatto, di surrogati materni di ogni genere, di mancanza di disponibilità e di ascolto, di tempi prestabiliti da altri e non in armonia con la crescita del singolo bambino, questi saranno adulti con fratture relazionali tracciate nella loro memoria, difficili da scardinare (8).

È un aspetto spesso trascurato da parte degli psicologi, che dovrebbe stimolare studi a lungo termine sulle implicazioni relazionali delle modalità di allattamento e degli schemi educativi rigidi imposti ancora da un certo tipo di condizionamenti culturali e dai prodotti presenti sul mercato, soprattutto quello editoriale.

Ovviamente ciò non significa che i bambini non debbano avere regole e che i genitori siano al servizio di piccoli tiranni, significa soltanto che i tempi sono cambiati e dobbiamo allargare la nostra indagine, considerando l'allattamento da un punto di vista psicologico anche come un'esperienza relazionale di base, da cui i bambini imparano e verosimilmente baseranno i loro rapporti futuri, i loro pensieri e i loro pregiudizi a partire da ciò che hanno vissuto.

Alessandra Bortolott

Sui pensieri

Secondo Evagrio Pontico (+ 399) “la preghiera è un mettere da parte i pensieri”.

Mettere da parte: non un conflitto selvaggio, non una furiosa repressione, ma una qualche, sia pure costante, azione di distacco. Attraverso la ripetizione del Nome, siamo aiutati a “mettere da parte”, a lasciare andare le nostre futili e dannose immaginazioni e sostituire ad esse il pensiero di Gesù [...]

Quando per la prima volta iniziate la Preghiera di Gesù, non preoccupatevi troppo di eliminare pensieri e immagini mentali. Come abbiamo già detto, lasciate che vostra strategia sia positiva, non negativa. Richiamate alla mente non ciò che deve essere escluso ma ciò che deve essere presente. Non fermatevi sui vostri pensieri e su come eliminarli: pensate a Gesù.

Concentrate il vostro intero io, tutto il vostro ardore e devozione sulla persona del Salvatore; sentite la sua presenza; parlategli con amore. Se l’attenzione divaga, come indubbiamente accadrà, non scoraggiatevi: con gentilezza, senza esasperazione o rabbia interiore, riportatela indietro. Se essa vaga di nuovo, di nuovo riportatela indietro. Ritornate al centro, il centro vitale e personale che è Gesù Cristo.

Guardate all’invocazione, non tanto come preghiera vuota di pensieri, ma come preghiera piena dell’Amato. Lasciate che sia, nel senso più ricco della parola, una preghiera di affetto – sebbene non di eccitamento emotivo autoindotto. Poiché, mentre la Preghiera di Gesù è certamente molto più che una preghiera affettiva, nel senso tecnico occidentale, è con sentimento di amore che noi dobbiamo correttamente iniziare. Il nostro atteggiamento interiore, quando incominciamo l’invocazione, è quello di S. Riccardo di Chichester:

O mio misericordioso Redentore,
amico e fratello,
possa vederTi più chiaramente,
amarTi più teneramente,
e seguirTi più da vicino

Kallistos Ware, La potenza del nome, Il leone verde

Alimentazione per le mamme che allattano

L'alimentazione della mamma durante l'allattamento si potrebbe riassumere con "come rendere complicato qualcosa di semplice".

Un po' per il solito discorso che con l'allattamento negli anni ci siamo complicati la vita quanto più possibile, un po' per interessi commerciali di vendere pillole e polverine, a sentire cioè che si dice in giro sembra che una donna per allattare debba seguire diete speciali, debba privarsi di una lunga lista di alimenti, rendendo in questo modo l'allattamento una scelta degna di monaci buddisti.
Cosa mangiare durante l'allattamento? Quello che si mangia di solito! E' logico che non dovrò essere certo io a spiegarvi che "di solito" vuol dire "alimentazione sana, equilibrata, variata", in altre parole seguire le indicazioni della famosa "piramide alimentare".
La piramide prevede alla base gli alimenti da consumare più spesso e via via salendo i piani troviamo quelli da consumare con minor frequenza. Provate a auto-interrogarvi e vedere se indovinate la sequenza...
Ecco la soluzione del quiz: alla base della piramide ci sono frutta e verdura, poi troviamo gli alimenti ricchi di carboidrati (pane, pasta, riso, patate ecc.), in seguito i latticini (latte, yogurt, formaggi), poi i cibi ricchi di proteine (carne, pesce, salumi, uova, legumi) e ovviamente in cima troviamo i dolci.
Niente di nuovo, spero.
Ovviamente potranno esserci degli aggiustamenti in base alla situazione personale (particolari malattie, allergie, condizioni fisiche) o a scelte etiche (ad esempio per i vegetariani), ma tutto questo andrebbe sempre discusso con un medico specialista.
Quanto appena detto vale per ogni momento della propria vita, non solo durante l'allattamento.
E' vero invece che spesso è solo al momento della gravidanza e del successivo allattamento che, per timore di ripercussioni sulla salute del bambino, ci si interroga sulla correttezza della propria alimentazione.
Senza dubbio i vari momenti "particolari" della nostra vita (come appunto la gravidanza, l'allattamento, l'infanzia o la vecchiaia) potranno richiedere delle attenzioni speciali rispetto all'alimentazione, ma tenendo sempre presente che lo schema della piramide alimentare è alla base della sana alimentazione a tutte le età.
Vediamo nello specifico quali sono le attenzioni da dedicare all'allattamento.
Sempre partendo da un'alimentazione sana, durante l'allattamento serve un apporto calorico maggiore rispetto al normale, proprio perché produrre il latte è un vero e proprio lavoro per il nostro corpo. Non servirà mangiare esageratamente di più del solito, basta mangiare un po' di più seguendo la propria fame. E' ovvio che se si ingrassa, si sta mangiando troppo e quindi bisogna calare leggermente le dosi.
Da un lato purtroppo e dall'altro per fortuna, dopo la gravidanza restano dei chili da smaltire. Questi chili non sono messi lì a caso da Madre Natura. Servono proprio per la produzione di latte. Quindi anche se con strane analisi si riuscisse a stabilire che la Signora Rossi ha bisogno di 657 kcal al giorno in più per produrre il latte necessario per il suo bambino, questa signora non dovrà mangiare 657 kcal più del solito. Ne mangerà un pochino più del solito, le altre verranno prese proprio dalle scorte della "ciccia" che ha accumulato in gravidanza. Avete presente quando gli orsi vanno in letargo e ingrassano molto per fare scorte per l'inverno? A primavera sono di nuovo in forma smagliante!
In alcune mamme l'effetto dimagrante dell'allattamento è molto evidente, in altre meno. E' logico se con la "scusa" dell'allattamento una mamma mangia il doppio rispetto al solito, sarà decisamente improbabile smaltire i chili rimasti dalla gravidanza...
Ora abbiamo visto "quanto" mangiare. Sul "cosa" si sprecano mille consigli e falsi miti.
Una piccola premessa: è stato riscontrato che l'alimentazione materna tutto sommato influisce poco sulla produzione e sulla qualità del latte, o comunque meno di quanto si creda. Solo la quantità e qualità di grassi nel latte materno dipende dalla quantità e qualità di grassi mangiati dalla madre, ma si è pure visto che anche se la madre ha una dieta troppo povera di grassi, i grassi del latte materno non diminuiscono mai sotto a una certa soglia. Ciò significa che anche una madre malnutrita produrrà un latte adeguato per quantità e qualità.
Questo è uno dei tanti meccanismi intelligenti di Madre Natura: pensiamo alle nostre antenate. Attraversavano carestie e periodi dell'anno in cui l'approvvigionamento di cibo era scarso e monotono, eppure i neonati crescevano comunque e il latte delle mamme andava sempre bene. Semmai i bambini avevano problemi di malnutrizione quando non erano più allattati. E lo stesso succede oggi in molti paesi poveri: i bambini allattati stanno benone, i fratellini più grandi non più allattati sono chiaramente denutriti.
Il latte in un certo senso viene prodotto a spese della madre, perché la natura protegge il più debole che in questo caso è il bambino.
Quindi una madre che allatta deve curare l'alimentazione sostanzialmente per sé stessa. Così come dovrebbero fare tutti!
Infatti anche le madri sottopeso o anemiche possono allattare (e però, nel loro personale interesse, se ne hanno la possibilità dovranno curarsi).
Solo i casi di denutrizione gravissima come l'anoressia causano problemi all'allattamento, e non solo a quello logicamente.
Vanno di moda gli integratori multivitaminici in pillole o in polvere studiati per la mamma che allatta e molte mamme li prendono nella speranza di avere un latte "migliore". La maggior parte delle vitamine e dei minerali invece ha una concentrazione nel latte materno che non dipende da quello che mangia la madre. Ad esempio, potete prendere tutti gli integratori di ferro che volete, ma il ferro nel vostro latte sarà sempre lo stesso.
In alcuni casi effettivamente la dieta materna fa variare il contenuto di certe vitamine e minerali nel latte, ma bisogna porsi il problema solo se la madre ha una carenza già di suo, altrimenti pillole e polverine sono soldi buttati.
Esiste un unico caso da considerare, probabilmente anche poco conosciuto: lo iodio.
Lo iodio è un minerale molto importante per il nostro organismo e una carenza di iodio è all'origine di diverse malattie che a volte danno sintomi poco evidenti e quindi non sono diagnosticate. Per svariate ragioni, difficilmente con la sola alimentazione è possibile soddisfare il fabbisogno quotidiano di iodio, inoltre in alcune regioni la carenza di iodio nella popolazione è ancor più significativa.
Per questa ragione numerose campagne di sensibilizzazione invitano tutti a utilizzare il sale iodato. Durante la gravidanza e la primissima infanzia il fabbisogno di iodio aumenta, e nemmeno l'uso del sale iodato è sufficiente a garantire la quantità necessaria all'organismo. Questo è l'unico caso in cui, dopo aver consultato il vostro medico, è opportuno assumere un integratore, sia in gravidanza che in allattamento.
Detto questo, tutto il resto sono chiacchiere.
Facciamo una rapida rassegna:
- Acqua: come detto in articoli precedenti, se bevete più acqua non avrete più latte. Siccome allattate allora avete più sete, quindi bevete di più. Tutto qua. Forzarsi a bere acqua se non si ha sete non serve, e anzi, bere quantità esagerate di liquidi è addirittura pericoloso (sento di mamme che si forzano a bere cinque litri al giorno di miracolose tisane... vi prego, non fatelo a meno che abbiate effettivamente sete!).
- Latte vaccino: ricordo pure io che in gravidanza avevo letto che avrei dovuto bere almeno un litro di latte al giorno per poter allattare. E' una fandonia, il latte non fa latte! Per quale misterioso meccanismo il latte vaccino dovrebbe trasformarsi in latte materno? Alcuni lo consigliano per il contenuto di calcio. Anche assumendo integrazioni di calcio, durante l'allattamento il fisico della madre si impoverisce naturalmente di calcio, ma altrettanto naturalmente nei mesi successivi (anche se si sta ancora allattando) il calcio si rideposita nelle ossa e anzi, si rideposita con una struttura più "robusta" di modo che a lungo termine le donne che hanno allattato avranno minori problemi di osteoporosi, contrariamente a quanto molti credono. Quindi durante l'allattamento non serve assumere più calcio del normale.
- Birra e alcolici: la tradizione popolare consiglia di bere birra per fare latte, e magari ogni tanto un bel bicchiere di rosso perché "fa sangue"e tira su la madre. Uno studio ha dimostrato che effettivamente alcune sostanze contenute nella birra aumentano i livelli di prolattina, ma alti livelli di prolattina senza un bimbo che poppa di più non sono molto utili. Quindi se berrete più birra non avrete più latte!
L'alcool contenuto in birra, vino e altre bevande passa nel latte materno. E' anche vero che, rispetto all'alcolico bevuto dalla madre, la concentrazione presente nel latte materno è attenuata. Quindi, tenendo conto che non è "necessario" consumare alcolici, un consumo saltuario di alcool in quantità moderata (due bicchieri al massimo al giorno) è accettabile, ancora meglio sarebbe bere a stomaco pieno e dopo la poppata, di modo che passi più tempo possibile prima della poppata successiva. In questo modo l'alcool viene smaltito dalla mamma e quindi dal latte.
Infatti l'alcool non si accumula nel latte ma viene eliminato con il passare delle ore così come avviene per l'alcool che ha in corpo la mamma. Inutile dire che un consumo moderato di alcool non dovrebbe essere nulla di nuovo, dato che anche questo rientra nei principi della sana alimentazione!
- Cibi saporiti: ogni cultura e regione ha una lunga lista di cibi che darebbero un sapore cattivo al latte e quindi la madre che allatta dovrebbe tassativamente evitare. Di solito si parla di aglio, cipolla, cavoli, spezie, asparagi. Sono sicura che a voi ne hanno sconsigliati anche degli altri.
E' vero che il sapore del latte cambia in base alla dieta materna (e questo è un bene), ma chi lo ha detto che quei gusti non siano graditi al vostro bambino? Vi assicuro che i bambini, se li si lascia fare, hanno un palato molto più raffinato del nostro e quindi apprezzano gusti apparentemente impensabili.
Senza dubbio può succedere che un bambino dimostri insofferenza a una poppata tutte le volte che mangiate un certo cibo. Se riuscite a capire qual è il cibo incriminato ne limiterete il consumo, ma non potete dire a priori quale sarà questo cibo sgradito!
- Cibi che fanno "aria": subito dopo i cibi che danno sapore al latte vi sconsiglieranno i cibi che (agli adulti!!!) possono dare aerofagia, "aria in pancia". E quindi vengono banditi fagioli e legumi in genere, assieme ai cavoli e tutti i suoi parenti. Il timore ovviamente è che questi cibi scatenino le terribili coliche del lattante. Una cosa certa che si sa sulle misteriose coliche è che non sono causate dall'aria nella pancia. Anche se fosse questa la causa, l'aria in pancia causata alla mamma da fagioli e cavoli è dovuta al fatto che, chi più chi meno, non riusciamo a digerire (cioè assorbire) alcune sostanze in essi contenuti. Per questo ragione fermentano e sviluppano gas. I gas di certo non passano nel latte materno (altrimenti avremmo il latte frizzante...), e le sostanze che provocano i gas non passano nel latte proprio perché la mamma non le assorbe.
- Cibi che causano allergie: qualcuno vi avrà proibito di mangiare i cibi tradizionalmente considerati allergizzanti, come pesce, uova, latte e latticini, frutta secca, crostacei eccetera. Innanzitutto eventuali restrizioni su questi cibi hanno senso solo se c'è un elevato rischio, dedotto dalla storia familiare, che il bambino sia allergico. Inoltre in genere si tratta di tentativi.
Non ci sono studi chiari e univoci che dimostrino l'utilità di eliminare determinati cibi allergizzanti dalla dieta. Se si notano disturbi nel bambino e si sospetta che siano riconducibili a un'allergia a qualche cibo assunto dalla madre, per qualche settimana la madre eviterà scrupolosamente quel cibo e si osserverà se questo porta a qualcosa oppure no.
Evitare questi cibi a priori, così come nei casi precedenti, non ha molto senso e serve solo a complicare la vita alla mamma!
A questo punto è evidente che se doveste seguire tutte le "proibizioni" che vi vengono consigliate dovreste mangiare solo riso in bianco.
Mangiate in maniera sana e variata: se eventualmente se noterete reazioni strane del vostro bambino, correggerete il tiro!
Sara Cosano

domenica 21 febbraio 2010

Pelle arrossata nel bebè

Dopo ore e ore a stretto contatto con il pannolino la sensibile e delicata pelle dei piccoli si può infiammare provocando prurito, fastidio fino ad arrivare a vero e proprio dolore.

L'irritazione si riconosce da un'ampia area arrossata che interessa la delicata cute dei genitali, delle natiche e della zona inguinale. A volte si possono formare delle vescichette, con o senza pus. In questo caso l'irritazione è già ad uno stadio piuttosto avanzato ed è necessario agire immediatamente per non aggravare ulteriormente la situazione.
L'eritema è causato dal contatto prolungato con urine e feci acide, dall'elevata umidità del pannolino sporco e dal fatto che esso non permette una sufficiente traspirazione della sottile cute del bambino.
Le cose che si devono fare per curare l'eritema già in corso sono molto semplici, ma davvero efficaci.
Per pulire il sederino evitiamo di usare le salviette umidificate: sono imbevute di sostanze poco raccomandate (derivati del petrolio, cloro, profumo, alcool, ammoniaca,...) che aggravano ulteriormente l'irritazione e a contatto con la pelle arrossata provocano bruciore.
Utilizziamo invece dei semplici (e più economici!) dischetti in cotone (per intenderci, quelli che noi donne usiamo per struccarci il viso) precedentemente immersi in una ciotola di acqua tiepida-calda a cui è stata aggiunta una decina di gocce di tintura madre di calendula che, grazie alla sua azione disinfiammante, cicatrizzante ed ammorbidente, aiuterà la pelle a guarire.
La tintura madre di calendula (Calendula officinalis) è facilmente reperibile nelle erboristerie e nelle farmacie (ma è anche molto semplice prepararsela da soli!) ed è utilissima in molti casi... Sarebbe opportuno tenerla sempre nell'armadietto di casa!
Dopo il lavaggio con acqua e tintura madre di calendula, assicuriamoci che la zona interessata sia completamente asciutta prima di mettere il nuovo pannolino. Per velocizzare l'asciugatura della pelle aiutiamoci con pochi minuti di phon (ovviamente tenuto a debita distanza): l'aria calda asciugherà la zona irritata e al bambino donerà un caldo senso di benessere!
Nei casi di sederini maschili teniamo il phon a prova di getto di pipì...non si sa mai che faccia da filo conduttore con l'elettrodomestico creando seri incidenti.
Una volta asciugato il sederino arrossato, spalmiamo su tutta la zona una crema a base di calendula che può accelerare notevolmente la guarigione della pelle. Assicuriamoci sulla sua provenienza e che non contenga alcool o altre sostanze chimiche.
In commercio ci sono svariati prodotti naturali creati con l'utilizzo di materie prime certificate e sicure.
Non utilizziamo olio al posto della crema perché la zona irritata deve rimanere il più asciutta possibile e l'olio, anche se prodotto con buoni ingredienti, impedisce alla pelle di traspirare e il rossore potrebbe ritardare ad andarsene.
Soprattutto nei periodi dell'eritema sono da preferire i pannolini lavabili a quelli usa e getta cercando di cambiarli spesso in modo che il sederino del piccolo non resti troppe ore a contatto con le urine e le feci acide. Nel caso in cui non sia possibile usare i pannolini lavabili, cerchiamo di preferire i pannolini usa e getta ecologici che risultano più delicati sulla pelle perché non sbiancati e non trattati chimicamente.
Diamo la possibilità alla pelle del sederino di "respirare" ed asciugarsi all'aria aperta. Nei caldi mesi estivi sarà sicuramente più semplice, ma in inverno (periodo in cui ci sono maggiori irritazioni) basterà vestire il bimbo con una mutandina in cotone e un pantalone della tuta in modo che, anche se dovesse bagnarsi, risulterà veloce e semplice cambiarlo.
Voglio concludere con una riflessione: oggigiorno radio e televisione promuovono prodotti fatti su misura per il bambino: quella crema per quel problema, quel sapone per quel tipo di pelle, quello shampoo per quel tipo di capelli,... Ma la maggior parte di questi prodotti contengono ingredienti davvero nocivi per la pelle, per la salute e per l'ambiente.
Per pulire i sederini (e non solo quelli) dei bimbi è più che sufficiente dell'acqua di rubinetto, dei fazzolettini di carta o del cotone, dell'olio di mandorle dolci o di sesamo e, se proprio vogliamo, un po' di sapore neutro.
La scelta di utilizzare queste poche e semplici cose è una scelta economica, etica, rispettosa dell'ambiente, ma soprattutto sana.
Federica Scropetta