giovedì 14 febbraio 2013

Chi era S. Valentino

Il Martirologio romano, libro liturgico che ogni giorno fissa la ricorrenza del “dies natalis” dei santi e dei martiri per celebrarne la memoria, tra le 6.538 voci che lo compongono, ne riserva una proprio a San Valentino. Come vediamo il Santo è in buona compagnia, ma ben poco è stato tramandato della sua vita e della sua opera oltre un breve cenno sul suo status di ”vescovo e martire”. Valentino nacque a Terni intorno al 175 dopo Cristo, divenne il primo vescovo di quella città nel 197 e subì il martirio prima lapidato poi decapitato il 14 febbraio del 273 a 97 anni, su ordine dell’imperatore Lucio Domizio Aureliano, per aver osato introdurre la religione cristiana in un contesto sociale pagano, quando il Cristianesimo non era ancora stato riconosciuto ufficialmente. La più antica notizia di questo santo risale ad un documento ufficiale della Chiesa del quinto-sesto secolo che riporta l’anniversario della sua morte. Un altro documento dell’ottavo secolo ci narra invece alcuni particolari del suo martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei suoi discepoli.
La festa di San Valentino, per volere di papa Gelasio I nel 496 che intendeva cancellare una festività pagana piuttosto licenziosa, sostituì i giochi in onore del dio Pane e Luperco – legati alla purificazione dei campi e ai riti di fecondità e celebrati il 15 febbraio, il giorno precedente la commemorazione del Santo. Le sue spoglie furono sepolte sulla collina di Terni, sulla Via Flaminia, nei pressi di una necropoli. Sul luogo sorse nel quarto secolo una basilica nella quale sono custodite le reliquie del santo. Ma un vasetto con il suo sangue si trova anche in un reliquiario di vetro contenente il teschio di Santa Giustina nella Chiesa di San Martino a Torre d’Arese (Pavia). Sull’autenticità di questo sangue, come del resto di moltissime altre reliquie, probabilmente dovremo fare richiamo al sangue di San Gennaro.
Dopo numerose scorrerie prima di Ungari poi Normanni e Saraceni, nel 1605 il vescovo di Terni Giovanni Antonio Onorati, in analogia con le ricerche dei primi martiri a Roma, iniziò le operazioni di ricerca del corpo del Santo. E così il corpo di San Valentino fu rinvenuto in una duplice urna di piombo e di marmo: la testa era separata dal busto, a conferma della decapitazione. Molte città e paesi, oltre Terni, invocano San Valentino come patrono: Bussolengo, Sadali (Cagliari), Abriol (Potenza), Pozzoleone (Vicenza) Vico del Gargano (Foggia)
Ma ora spazio ad alcune leggende. La figura di San Valentino è costellata di leggende che si sono tramandate nei secoli, spesso autoalimentate o addirittura alimentate dagli stessi Benedettini prima e Carmelitani poi che accudirono le spoglie di questo santo, il cui culto si diffuse rapidamente in tutta Europa già dal quinto secolo, forte del grande messaggio d’amore che recava. E l’amore, si sa, travalica mari e monti, vince barriere geografiche e pregiudizi, perché è il più forte sentimento umano.
La leggenda di Serapia e Sabino

Secondo la leggenda Valentino, già vescovo di Terni, riuscì ad unire in matrimonio la giovane cristiana Serapia, gravemente ammalata, e il centurione romano Sabino, anche se l’unione era ferocemente ostacolata dai genitori. Pare proprio che fu questo atto a far divenire San Valentino patrono degli innamorati.



La Leggenda della rosa a due fidanzati

Un giorno San Valentino vide due giovani fidanzati che stavano litigando. Regalò allora una rosa ai due e li pregò di riconciliarsi, stringendo insieme il gambo della rosa e pregando affinché il Signore mantenesse in eterno il loro amore. In seguito la giovane coppia tornò da lui per loro matrimonio. La storia si diffuse e gli abitanti iniziarono ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni, ormai divenuto patrono dei matrimoni, il 14 di ogni mese.
Variante della leggenda della rosa

I due giovani così riconciliati dal dono della rosa, mentre tornavano a casa videro uno stormo di piccioni e colombe che svolazzavano intorno a loro e che si scambiavano col becco segni di affetto. Questo miracolo molto probabilmente fu la causa del diffondersi dell’espressione “piccioncini” a due innamorati che stanno tubando.
La leggenda del giardino fiorito

San Valentino dalla sua finestra si beava nel vedere bambini giocare nel suo giardino anche perché, quando scendeva, tutti i bambini lo circondavano festanti. Spesso regalava loro un fiore da portare alle loro mamme: così era certo che sarebbero tornati a casa presto. Da questa leggenda deriva la tradizione di donare dei piccoli regali e fiori alle persone a cui vogliamo bene

La leggenda dei piccioni viaggiatori

Questa leggenda si innesta alla precedente: Valentino amava coltivare lui stesso il suo giardino e permetteva ai bambini di giocarci, donando poi loro un fiore. Ma un brutto giorno Valentino fu imprigionato e il giardino chiuso a chiave con grande disappunto dei bambini. Ecco allora un prodigio: i piccioni viaggiatori, che teneva nel giardino, fuggirono dalla gabbia, si posarono sulle sbarre della finestra della sua cella, Valentino li riconobbe, legò un biglietto al collo di uno e una chiave al collo dell’altro. Fu così che con quella chiave e con la benedizione di Valentino scritta sul biglietto i bambini fecero un felice ritorno nel giardino fatato.

Variante della leggenda dei piccioni viaggiatori.

Si narra che Valentino, uscito dal carcere dopo essere stato graziato, si impietosì della cecità della figlia del carceriere e compì il miracolo di ridare la vista a quella povera fanciulla. Ma poi quando l’imperatore lo condannò alla decapitazione fece recapitare quella fanciulla un messaggio di addio con le parole: «il tuo Valentino».

Nient'altro che la verità

Nel 1998, in un'estate alpina un po' hippy, conobbi due studenti del seminario (i nomi sono stati cambiati): il più giovane, Mattia, era un tipo tranquillo con un placido sorriso stampato in faccia e una pazienza infinita con i suoi ragazzi scatenati, sembrava fatto apposta per le piccole chiesette del'alto Piemonte con la loro vita sempre uguale a sè stessa, senza santità ma anche senza grossi turbamenti; Andrea, un anno in più, era all'opposto: simpaticissimo, sempre in movimento, suonava il pianoforte, si lanciava nei balli, cantava a gran voce e, come se non bastasse, quando passava anche le pietre si sarebbero girate a guardarlo.


Fu veramente molto duro accettare l'idea che l'avrei rivisto solo ogni tanto a qualche festa o al prossimo campo estivo: almeno era quel che credevo, ma anche arrampicarmi sugli specchi così mi andava bene, anche se lui era lo studente più brillante del suo corso e io ero solo una ragazzina col pallino della scienza. Non credo che Andrea si sia mai accorto di nulla.

Poco più di un anno dopo, gente balorda mi strappò via dal mio ambiente e per alcuni anni fui una schiava, non da marciapiede ma da stracci e punture, che forse a quell'età è anche peggio. Riuscii a tenere duro trasformandomi in una vipera che pensava solo alla fama e a comandare e influenzare il prossimo.

Da allora sono passati quindici anni: grazie a Dio e ad un miracolo chiamato amore oggi sono un'altra persona, anche se per motivi di salute ho dovuto rinunciare definitivamente alla montagna; uno dei compagni di allora è in Paradiso, una è diventata buddista, gli altri sono sparsi per l'Italia e per il mondo; per il colmo dell'ironia, i due studenti sono stati entrambi assegnati come parroci al paese dove vivevo, proprio quando stavo iniziando a rifarmi una vita in città e di Andrea non mi importava più nulla. Ma il bello doveva ancora venire.

Lui, il capogruppo dall'allegria incontenibile, è diventato conformista e con un pessimo carattere: se non mi fosse ormai indifferente lo prenderei a testate, ma a causa di ciò che professo non ho più motivo di averci a che fare; Mattia invece, su cui non avrei scommesso una lira, con la sua solita flemma sta dando inizio a una rivoluzione. Tanto per cominciare porta sempre l'abito lungo che non si vedeva più da circa cinquant'anni, senza scomporsi davanti ai brontolii della vecchia generazione che aveva abolito quella divisa. Inoltre accompagna i fedeli che vogliono visitare i santuari dell'una o dell'altra apparizione, ad evitare che ascoltino troppe frottole, invece di guardarli dall'alto in basso come fanno tanti altri. Poche settimane fa ha anche tentato di ripristinare il rito tridentino, una possibilità che esiste già da qualche anno ma che nessuno aveva ancora osato in una zona dove i credenti sono pochi e per lo più anziani e progressisti.

Ovviamente quasi tutto il paese ha disertato, e le occhiate sono state più gelide che mai, ma Mattia non si scompone e ha già annunciato di voler ripetere il tentativo più volte finchè la gente non si sarà abituata. Viene da chiedersi che cosa abbiano creduto e venerato queste persone, se trattano così un religioso che sta cercando di limitare almeno l'ultima parte della valanga di errori teologici che ha soffocato tutto il secondo millennio dopo Cristo: non basta la forza di un'ideologia solo umana per provocare tanta ostilità, c'è sotto dell'altro e credo che lui se ne renda conto, a rischio di farsi detestare. Mi spiace molto, perchè anche se non lo dà a vedere certo questi atteggiamenti gli stanno facendo male.

Certo restano ancora molti passi da fare perchè in quasi tutti i Paesi latini taccia la superstizione e le chiacchiere moderniste, ed entrando in una chiesa non si senta nient'altro che la verità: ma credo che il buon Dio stia apprezzando lo sforzo, e sono felice che quando lascerò per sempre quel paese che mi ha creato un mare di guai, l'ultimo ricordo sia l'immagine di quel pretino che divenne un uomo coraggioso.

Libera nos a malo

Sarei curiosa di sapere chi ha tradotto per primo questa frase con "liberaci dal male", e per una volta l'ultimo concilio non ne ha colpa dato che la stessa versione si trova già in alcuni libretti di devozione popolare diffusi nell'Ottocento. Il fatto che un simile strafalcione da prima liceo non sia mai stato corretto mi richiama alla mente un uomo quasi centenario, pubblico peccatore ma con la testa molto meno confusa di tanti teologi, che diceva più o meno così: a pensar male si fa peccato... però ci si azzecca quasi sempre.


Chiunque maneggia dei libri sa che la traduzione migliore è sempre quella presa dall'originale: per i testi sacri è la versione greca, di cui personalmente non capisco una parola ma se tutti i Paesi che si basano sul testo greco parlano di "Maligno", perchè alle nostre latitudini si insegna da centinaia di anni una cosa diversa? Viene il dubbio che la mania del politicamente corretto abbia contagiato per primi i luoghi sacri, al punto da far censurare un nome inquietante che poteva sconfinare nella superstizione e sostituirlo con un generico "male" che può indicare tutto e il contrario di tutto. Ora i cristiani di lingua latina non sono meno intelligenti di quelli slavi, per cui avrebbero capito anche loro le parole originali del Cristo, se solo il parroco di turno avesse spiegato i fatti anzichè sommergere il popolo di chiacchiere... (lo stesso vale per la più celebre invocazione alla Madonna: quando mai una mamma ha un bambino che cresce nel seno? morirebbero tutt'e due per asfissia, non ci vuole un chirurgo per arrivarci...)

E' possibile allora che lo sbaglio non sia dovuto a reticenza, ma a ignoranza bell'e buona? Nel Vangelo infatti sta scritto: "Perchè mi interroghi su ciò che è buono? uno solo è il Buono", così come il suo opposto. Se ancora oggi i teologi discutono sul bene e sul male, è perchè si comportano come tutti gli accademici: confrontano opinioni, teorie, ipotesi... mentre il punto di partenza (in questo caso la Scrittura) rimane su uno scaffale a coprirsi di polvere.

Trasformare uno spirito ben identificato in un concetto morale è il primo passo per spostare il baricentro dala fede alla logica, e chi crede che sia un progresso sta solo lasciando campo libero al Maligno, che può agire indisturbato perchè non c'è nessuno che fa caso alla sua presenza. Pregare nel modo corretto è come curare una malattia: se diciamo "liberaci dal male" ci accontentiamo di trattare i sintomi fino alla prossima fase acuta, ma se chiediamo di essere liberati dal Maligno è possibile sradicare la causa del male.

Davanti alla Sindone

Qualche settimana fa ho comprato per me e per un'amica due ciondoli con l'immagine del volto della Sindone così come appare nei primi negativi realizzati a fine Ottocento: non che sia del tutto certa della sua autenticità, di cui ho invece molti dubbi da quando la vidi con i miei occhi nel 2010 (per inciso le persone risorte sono state solo due, e se il telo di Gesù è devotamente custodito a Torino, che fine ha fatto l'altro di sua madre?). Il motivo è ben diverso: il Salvatore ci ha resi fratelli suoi, ma non ne abbiamo nessun ricordo che non sia sotto forma di icona: nessuno, per quel che sappiamo, si è mai preso la briga di fargli il ritratto, e oggi quel lenzuolo funebre può essere l'unica immagine credibile che abbiamo di un fratello che non vediamo da venti secoli: come un'istantanea scattata nel momento peggiore,ma se c'è anche una minima possibilità che il telo sia autentico, allora vale la pena di osservarlo e lasciare i dubbi da parte.


Dico questo per fare appello ai mei concittadini, e a chiunque si imbatte in quell'ormai celebre negativo, di finirla una buona volta con le sceneggiate lugubri e i santini pietosi che fanno solo girare l'immaginazione a vuoto ed esaltano la stupidità e la violenza umana anzichè la potenza di Dio: tra questo http://www.artinvest2000.com/masaccio_crocifissione-big.htm e questo http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/grunewald/crucifixion/crucifixion.jpg c'è una differenza che va ben oltre lo stile. Quando Dio fece l'uomo a sua immagine, lo fece pieno di alute e di vitalità e tale doveva sembrare suo Figlio quando girava in compagnia dei bevitori, facendo vita di strada senza prendersi mai neanche un raffreddore (lo diranno più tardi gli amici: quando mai ti abbiamo visto malato, da doverti visitare?): un personaggio non comune, se fece impressione anche a quello zotico del governatore. Quella è l'immagine cui la gente dovrebbe tendere, invece di lasciarsi trarre in inganno dalle fantasie malate del proprio inconscio.

Anche l'uomo della Sindone, benchè segnato da mille percosse, non presenta smorfie o contratture e non dà segno di essere esausto: al contrrio, quegli occhi chiusi sono molto più incisivi delle facce stordite di tanta gente viva che in quel volto riesce a vedere solo il dolore. Per questo viene il dubbio che quel reperto sia vero, checchè ne dica la scienza ufficiale: per comprendere il suo vero significato gli studi non servono, basta osservare l'immagine di quel nostro ratello (chiunque egli sia realmente) senza pregiudizi e senza smancerie, venerando l'immagine di Dio e non la debolezza dell'uomo.

Ama, e fà quel che vuoi

Pochi giorni fa avevo pubblicato un articolo (http://scetticismiquotidiani.wordpress.com/2013/02/07/un-professore-tra-le-nuvole/) sulla cosiddetta Generazione Dracula, quella di tanti uomini e donne nati dagli ultimi anni Venti fino ai primi Cinquanta che consumano con la loro prepotenza le vite altrui e non si sognano minimamente di mollare il loro posto di comando, che sia in una casa, un'azienda o un ente di qualsiasi dimensione. Sembrava una cappa di piombo senza via d'uscita, e invece proprio lunedì scorso arriva il segnale che nessuno più si aspettava: il vescovo di Roma, uno degli uomini più seguiti e stimati del mondo, riconosce il peso degli anni e dà le dimissioni, in barba al conformismo e a qualche teoria strampalata che pretende di vedere un merito nella debolezza e nella malattia. Mentre tutti i chiacchieroni televisivi e no vanno blaterando su complotti e dietrologie varie, lui da persona elegante qual è non si cura di rispondere nè a loro, nè a quegli altri superstiziosi e starà piuttosto pensando a fare i bagagli e a non interferire col normale corso delle elezioni.
Tutti però, sotto sotto, hanno tirato un gran sospiro di sollievo: deve essere bello andare a votare così, senza rimpianti nè sospetti infami e senza essere squadrati da capo a piedi dalla gente ancora in lutto. D'altra parte la tradizione dell'incarico a vita non si fonda da nessuna parte: san Pietro morì barbaramente ucciso dai Romani, ma non sappiamo cos'avrebbe deciso lui o uno dei suoi undici compagni se fossero stati colpiti da una malattia penosa e invalidante, o tale da far perdere il lume della ragione. Se poi qualcuno vuole sapere la mia opinione sul vero motivo delle dimissioni, per quel che vedo direi che è un'ischemia, ma non è questo il punto. Senza essere papi, siamo capaci tutti a ritirarci per non fare figuracce e non sporcarci le mani come fece Celestino V, o per lasciare un nemico a mani vuote come voleva fare Pio XII, nella cui anima Dio solo può dire se fue più forte il coraggio o la vigliaccheria: ogni tanto c'è ancora qualche zuccone che pretende di fare un processo alla memoria, come se il Padreterno seguisse il codice penale... Quello che non tutti sanno fare è riconoscere il pericolo che viene da dentro, che sia una malattia organica o una forma depressiva, di quelle talmente gravi da contagiare gli altri: capisco perfettamente che un teologo di fama mondiale non voglia essere visto dal suo pubblico sulla sedia a rotelle, o con la voce impastata o - peggio ancora - in stato confusionale: la salute è un fatto privato e intoccabile, appartiene a Dio e non ai media.

Di certo questi anni hanno fatto un gran bene a tutti: il suo predecessore, pur in buona fede, si era lasciato prendere la mano dalla sua vena teatrale, non solo per la sua persona ma per il gran bailamme che circondava le cerimonie e per il gusto dell'innovazione che poteva portare a derive progressiste. Ratzinger non sarà un gran mistico, ma è un uomo di buon senso e Dio solo sa quanto ce n'era bisogno. C'è da sperare che il prossimo continui sulla stessa rotta e abolisca una buona volta certe solennissime fesserie che risalgono al concilio di Trento se non ancora prima, altrimenti non si stupisca se la gente continua a trasmigrare altrove...

Non ci è dato sapere come il vescovo uscente di Roma passerà le sue giornate e ci va bene così, perchè d'ora in avanti non sono più affari che riguardano il popolo. Come direbbe sant'Agostino, ama e fà quel che vuoi: per servire il buon Dio non c'è bisogno di portare un abito bianco o di qualsiasi altro colore, quella è solo la vanità dell'uomo. Una cosa però la direi volentieri, se solo mi potesse leggere: Prof, se si sente, ora che è libero ci regali almeno un paio di opere sacre o di sinfonie, prima che arrivi il momento di volare via, ad accompagnare i cori degli Angeli.