venerdì 21 novembre 2014

L'educazione di una regina

Alzi la mano chi sa cos'abbiamo festeggiato e non è un monaco o un iconografo. Nella nostra cultura l'infanzia della Madonna è avvolta nelle nebbie e viene quasi passata sotto silenzio, benchè abbia molto da dire a tutti, non solo agli addetti ai lavori.
E' il racconto di una nascita desiderata da una vita, di una donna che va a protestare davanti a Dio perchè dopo anni di attese a vuoto ha i nervi a pezzi, di una famiglia che decide di basare la sua vita sulla sola fede, checchè ne dicano i benpensanti.
E' un modello di educazione che collega a filo diretto lo spirito con le mani, senza andarsi a impelagare nel dedalo delle scienze e senza studiare altri libri che non siano quelli sacri; d'altro canto anche i maestri dell'India, pagani ma ricchi di esperienza, hanno sempre descritto la mente come una scimmietta pestifera da tenere a bada: è l'occidente che se ne è dimenticato.
La festa del 21 novembre è soprattutto il ritratto di una bambina dotata di uno spiccato senso religioso, una prodigiosa intelligenza e maturità precoce che in terra latina hanno poi dato luogo a un equivoco. Quando si parla della Madre di Dio, non c'è bisogno di crederla immacolata, priva di ogni difetto, esente dalla mortalità come fosse una specie di semi-dea. Maria di Nazareth viene spesso chiamata condottiera perchè ha saputo diventare prima di tutto il generale di se stessa. Avrebbe potuto vantarsi pubblicamente di essere la madre del Messia, pretendere di insegnare le Scritture, mettersi a capo degli apostoli... sono tentazioni tremende, infezioni mortali dello spirito da cui si guarisce solo con l'amore. Maria avrebbe potuto cascarci più di chiunque altro, godersi la meritata ricompensa di trentatrè anni passati a condurre un'esistenza non semplice: invece ha continuato la vita di prehiera discreta e lavoro manuale che aveva imparato nel tempio, prendendo l'acqua al pozzo, cucinando e spazzando come qualsiasi altra vedova israelita e per di più prendendosi cura di un figlio adottivo: era Giovani, l'apostolo ragazzino, che scrisse poi il più luminoso dei Vangeli e la rivide anni dopo vestita di sole,incoronata regina perchè era stata una madre.






giovedì 17 aprile 2014

Secondo Ponzio Pilato

Qualche tempo fa mi capitò di vedere un film datato 1983 con Nino Manfredi in un ruolo che, a pensarci, non avrebbe potuto essere di nessun altro. Solo lui, che aveva osato rispondere con una battuta a un papa, poteva fare la parte di Ponzio Pilato senza scadere nel "peplum".
Pur essendo nata e cresciuta qua in Italia dove certe cose abbondano,non ho grande simpatia per le vie crucis e le immagini più o meno ben fatte della Pietà (ho già spiegato qui le mie ragioni). Quanto al film di Mel Gibson, lo trovo perfino un po' insulso. Qui invece, a parte un paio di anacronismi veniali, il regista e tutti gli attori devono essersi avvicinati molto alla realtà portando in scena un Gesù di Nazaret credibile, dal passo lento, gli occhi sereni e non patito per i molti digiuni, dato che dalla Scrittura ci risulta che ne abbia fatto uno solo:tutte le altre austerità e penitenze che costellano la storia del cristianesimo derivano dal pensiero greco che vedeva il corpo umano come un fardello ignobile, non certo da chi lo ha destinato alla vita eterna.
C'è voluto un bel coraggio, con una parte del genere nel film, a lasciar parlare come protagonista quell'altro, il burocrate e codardo per definizione. Già il titolo a prima vista poteva sembrare blasfemo, quando mai se avviene un delitto si va a intervistare l'omicida? eppure qualcuno l'aveva già fatto: le vicende del film non sono inventate ma tratte fedelmente da un blocco di testi apocrifi noto proprio come "ciclo di Pilato". Se uno lo legge a mente fredda non ci crede: tutti i dialoghi sembrano sconnessi, assemblati ad arte, è un resoconto che non convince. Ecco però che basta una cosa da niente perchè la scena di duemila anni riprenda vita: una cadenza familiare, un caldo da far ammattire, una sguattera senz'altra colpa se non di essere pettegola e ottusa che finisce ammazzata in una strage: nel film è quella del 70 dopo Cristo realmente accaduta, ma per tutti gli dei come si fa, bisogna proprio essere di pietra, a non restare di colpo senza fiato e fare finta che sia solo storia antica.
Sulla fine di Pilato gli apocrifi non sono chiari: alcuni dicono che si suicidò, altri che morì in un incidente, altri che fu decapitato. Luigi Magni ha voluto seguire quest'ultima versione lasciando in vita la moglie Claudia per farne, genialmente, la prima santa tra i divorziati e mostrando il governatore per come probabilmente è stato: convinto dall'evidenza, ma vigliacco fino alla fine.

venerdì 24 gennaio 2014

Note sulla scultura religiosa

Molto spesso, dovendo spiegare il Vangelo, i teologi si arrampicano sugli specchi nel tentativo di precisare cosa si intende con "i fratelli di Gesù", giudicando come una bestemmia l'idea che potesse avere dei fratelli veri e propri. A parte che non vedo cosa ci sia di terribile a pensare che sia cresciuto in una famiglia normale, superaffollata come si usava ai tempi suoi (e come si usa ancora in Paesi meno barbari del nostro), ma trovo che insistere tanto su un simile dettaglio sia inutile. I fratelli di Gesù siamo noi, qualsiasi cristiano viene adottato al momento del battesimo, una volta che si comprende questo fatto rimane ben poco da ricercare. Chi lo fa, come minimo, ha le idee un po' confuse su ciò che crede.
E' proprio questo senso immediato di parentela uno dei motivi (gli altri li spiego in un libro, che è ancora in alto mare) per cui io nella mia ignoranza dico sì all'uso delle sculture in casa dei fedeli, purchè siano fatte con buonsenso e non diano luogo a fantasticherie. Non parlo di sculture come la Madonna di Oropa o il san Pietro che c'è nella basilica di Roma, autentiche icone a tre dimensioni che per la loro solennità possono stare solo in una chiesa, fosse pure la più spoglia cappelletta di montagna. Men che meno di quelle statue issate su un piedistallo, dalla posa teatrale e dall'espressione stravolta, tali da confondere le idee a chi non è pratico di psicologia, vale a dire la grande maggioranza dei battezzati. Tra i due estremi c'è una miriade di opere della devozione popolare, semplici, composte, tanto più preziose quanto più rimaste immuni dalla baraonda postridentina, non necessariamente antiche.
Nell'associazione che mi ospitava c'era una madonnina simile a questa (http://www.apostolatoliturgico.it/Prodotti/oggetti-per-la-pieta-dei-fedeli/statue/nostra-signora-di-misericordia/r-01-2908l.aspx), grande all'incirca un metro e mezzo, senza mantelli di broccato, corone o altre simili smancerie: era di resina, neanche di terracotta, ma per chi volesse veramente concentrarsi a pregare sembrava una perla rara, nel bel mezzo di una città barocca. Una statua simile non vale nè più nè meno di un'icona, è una cosa diversa: non da accendere lumini o da cantare inni ma da parlarci spontaneamente, faccia a faccia, magari con un rosario tra le mani.
Al momento di sgomberare i locali, la statua fu spedita ad un monastero, che se non sbaglio era da ricostruire dopo il terremoto in Abruzzo, ma oggi penso a quanto starebbe bene qualcosa di simile all'interno del futuro Centro Studi: non tanto per me o per gli altri operatori, quanto per i piccoli pazienti in sala d'attesa.

Filoteia, martire della carità

Filoteia: questo nome cominciò a ronzare nella mia testa quando nella mia città le venne intitolato uno sportello destinato a difendere i bambini dalla violenza più orribile e più vile, e non capivo cosa potesse attirare tanto la mia attenzione: una santa che aiutava i poveri, in un Paese di cui non capisco la lingua, e la dedica di un posto in cui non avrei mai il coraggio di mettere piede.
Solo più avanti, con un paio di ricerche in Rete, la verità venne a galla:quel titolo mucenita non voleva dire "monaca" come pensavo ma "martire", e aveva dodici anni quando lo è diventata: era figlia di contadini e toglieva il cibo alla sua famiglia per fare della carità, e per questo è stata uccisa con un colpo d'ascia. Sola, senza aiuti nè dal clero nè dal governo, ha mostrato con la sua stessa vita che la solidarietà non è solo un passatempo per ricche signore annoiate o per chi ha un guadagno personale e può permettersi, come si dice, di "dare via del suo".
La sua storia dice anche, soprattutto, che a dodici anni non si è bambini, oggi come ai tempi suoi: a dodici anni si è pienamente coscienti delle proprie azioni, si ama, si hanno opinioni, si subiscono le tentazioni del comando come capitò alla sottoscritta o del lusso, come le ragazze dei Parioli recentemente finite sulle pagine di cronaca nazionale. Ma non a caso è anche l'età della cresima, quando davanti a tutto il paese, in piedi e a voce alta si conferma il proprio credo, proprio perchè ormai si è capaci di intendere e di sapere a che cosa dedicare la propria vita, che sia alla carità, a un mestiere semplice o alla scienza ma anche alla superstizione, al crimine o alla sopraffazione dell'altro. Senza scuse.


mercoledì 22 gennaio 2014

Sobornost: una scalata in compagnia

Per molti anni, recitando il credo cattolico, l'affermazione "credo la chiesa" era l'unica che mi potesse veramente colpire. Nella grandissima presunzione che allora mi dominava, guardavo con aria di sufficienza la gente semplice che si affidava alla Provvidenza e invocava con affetto l'uno o l'altro santo patrono. Per me le immagini dei santi, al pari di ogni altra cosa sacra, non erano altro che un segnale di appartenenza a una forma di potere ben radicata e indistruttibile che faceva capo alla curia romana. Anche quando scelsi un'associazione parrocchiale la vedevo solo come il primo gradino di una lunga carriera e non mi importava realmente nè della gente del quartiere, nè tantomeno della patrona.
Anche quando, grazie a Dio, mutai vita, per molto tempo non riuscii a comprendere il sesnso della venerazione dei santi fino ad un giorno del 2009: non un "bel giorno", nè più brutto degli altri, ma senza dubbio bizzarro. Ero in un paese di provincia, costretta all'isolamento contro la mia volontà, senza poter comunicare con nessuno e senza avere, del resto, nulla da dire. Per fortuna c'erano in quella casa dei vecchi libri di storia dell'arte, così mi misi a sfogliarli e quando arrivai al capitolo sul gotico, davanti a un'immagine dell'Annunciazione, mi ritrovai stampato nella mente non un concetto, ma piuttosto uno stile di vita che rientrava in questa definizione: amici di s. Gabriele Arcangelo. Sul momento ho temuto che trovarmi rinchiusa in quel modo mi avesse dato alla testa, eppure quella mia intuizione aveva un senso compiuto ed era anche utile al prossimo.
Fu così che aprii questo blog e man mano che gli davo forma trovavo delle figure di santi da collegare, non più come una bandiera nè con quelle devozioni esagitate che si vedono spesso nei paesi e che mi hanno sempre messo a disagio, ma come ritratti di amici e parenti fotografati nella loro vita quotidiana. In una parola, tutto nel mio sito si doveva svolgere all'insegna dell'amicizia e del buonsenso perchè quello voleva dire "credo la comunione dei santi", ciò che in russo si chiama sobornost: un senso di compagnia molto semplice che non ha nulla a che spartire col "barocco", non solo artistico, tanto diffuso nella chiesa cattolica. E' la stessa impressione che anima il libro che sto curando su una pagina censurata della storia italiana: stavolta non ci sono di mezzo gli angeli, solo un piccolo esercito di uomini coraggiosi, ma il senso di amicizia è lo stesso tra due generazioni distanti che attraverso un libro si tendono la mano. Quei ragazzi avevano i loro eccessi e i loro peccati anche violenti, nessuno li definirebbe dei santi, richiamano casomai alla mente una lunga vecchissima storia, quella della caduta di un'anima smarrita e sola che si capovolge poi in una scalata in compagnia:

"ma fu detto: a ma destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva."