di Georgios Karalis
Il 15 agosto la Chiesa cristiana festeggia la Dormizione di Maria. Secondo la tradizione ortodossa dal 1 al 14 agosto si deve digiunare, fatta eccezione per il 6 di quel mese, che è la festa della Trasfigurazione, in cui si mangia pesce. Il popolo greco chiama il digiuno di agosto “piccola quaresima” e la festa della Dormizione di Maria “Pasqua dell’estate”. Esso riconosce, pertanto, l’incontro della Tuttasanta con la morte come un episodio molto importante che riguarda la nostra vita.
È a tutti noto che il centro dell’insegnamento cristiano, la festa per eccellenza, è l’incontro del Figlio Unigenito di Maria con la morte, da dove è scaturita la risurrezione dei morti. Ma non è sicuramente meno importante anche il confronto della Madre con l’ultimo nemico dell’umanità. E questo non solo perché rivela delle dimensioni importanti del mistero della salvezza del mondo, che Cristo ha attuato in modo unico e insuperabile, ma perché Maria ha affrontato la morte con estrema umiltà, con fede in Dio e abbandono in Lui, anche se essa avrebbe potuto non morire in quanto “Madre della Vita”.
In effetti, per la teologia ortodossa la morte è l’ultimo risultato del peccato dell’uomo, della sua incapacità di esistere come Dio lo ha plasmato. Se il Dio-uomo (il Theantropos) ha fatto agire nella propria natura la morte volontariamente, perché voleva salvare tutti noi, sua Madre ha subito la morte senza alcuna protesta, pacificamente, per testimoniare da una parte che la sua origine è l’umanità decaduta, dall’altra parte per comprovare la trasmissione “economica” della mortalità nel suo Figlio che è Dio e uomo.
Ma la morte e la mortalità che caratterizzano l’uomo non sono solo semplici processi momentanei con i quali finisce la nostra vita sulla terra o si rovina il nostro corpo dando così la possibilità all’anima di volarsene via. Sono malattie sostanziali che esistono già nei primi passi della nostra esistenza e permangono fino all’ultimo suo istante, malattie che sfociano nel decesso e nella decomposizione. Sta proprio in questo la grandezza della Tuttasanta. Pur avendo il diritto di trascendere la mortalità, a causa della sua unica partecipazione all’incarnazione del Logos immortale e del suo contatto vivificante con Lui, essa ha voluto subire naturalmente il comune destino e non evitarlo. Una posizione, questa, tanto saggia e tanto giusta. Perché, come si sarebbe potuto credere al fatto che essa ha trasmesso la mortalità a Dio, se lei stessa si fosse presentata immortale? Ella è rimasta, però, estranea a quelle manifestazioni della mortalità che tutti gli esseri umani hanno la possibilità di evitare, anche se sono veramente pochissimi quelli che le evitano del tutto. Perché, se è vero che la mortalità è dentro la nostra consistenza biologica, allora essa appare in tutte le manifestazioni della nostra vita naturalmente. In questo senso, anche il pianto del bambino, il gioco del ragazzo, il sogno dell’adolescente, la professione dell’adulto, la creazione di ogni artista e in genere ogni piega della nostra civiltà non sono nient’altro che manifestazioni di questa nostra malattia e rivelazioni della nostra ferita senza una tendenza di guarigione.
Per questo motivo la Tuttasanta ha vissuto una vita così nascosta, così silenziosa sulla terra. Perché non partecipava alle nostre passioni e non poteva essere colpita da esse. E morì senza la minima resistenza alla morte, perché sapeva che sarebbe rimasta sempre viva e “Madre di Vita”.Non si sono mai saputi i suoi pianti di bambina, né i suoi giochi di ragazza. Nessuno ha mai conosciuto i suoi sogni di adulta, perché la continua presenza della realtà increata che era sempre con lei, fin da piccola, rendeva tutto ciò inutile. Neppure ella si è distinta in qualche professione né ha ottenuto qualche risalto nelle scienze o nelle arti. Estranea a tutto ciò, ha mostrato concretamente quanto distava dalla nostra malattia umana. Per questo, partendo da questo mondo con la sua mistica, indicibile e reale Dormizione, ha concluso la sua grande lezione, che è il silenzio della sua vita terrena. Il nascondersi è la medicina per la nostra malattia. Nascondersi non in un modo vuoto e senza logica. Ma pieno della fede nel Logos Risorto della vita, nel suo Figlio e suo Dio alla cui volontà mai ha detto no.
Se eliminare ogni distinzione egoistica personale e sociale è la condizione per la salvezza, se scomparire “fino alla morte” da ogni scena “spirituale”, “civile” o “sociale” è la via, la verità e la vita per i cristiani di ogni epoca, e se questo è il messaggio silenzioso che la Madre di Dio praticò per noi sia con la sua vita sia con la sua obbedienza “fino alla morte”, cosa succede ai nostri giorni – ci si chiede – quando invece “la libertà della persona” viene lodata molto di più della Madre degna di ogni lode? Come può un essere umano volere Dio con tutta la sua anima, come può non resistere mai alla volontà di Lui, come può annullare sempre il proprio essere privandosi di tutto fino alla negazione totale di ogni propria aspirazione e rimanere, dall’altra parte, libero e irremovibile di fronte ad ogni realtà effimera? Come ha fatto la Madre di Dio a restare, da una parte, così umile, così invisibile (senza alcuna azione importante per il mondo), durante tutta la sua vita, e, dall’altra parte, tanto attiva da cooperare con lo stesso Dio?
Queste domande in realtà non avrebbero alcun senso, se la concezione dei cristiani attuali, nonché dei teologi, in ordine alla “libertà” e alla “persona” si identificassero con quella dei Padri della Chiesa.
In effetti, per i Padri la libertà è una proprietà della natura, di “ogni natura razionale”, e per questo è del tutto estranea sia alla “persona” sia al “peccato”, che è sempre una scelta personale. “Non abbiamo una forza naturale per creare il peccato” ma “subiamo contro natura la nostra gnômê (persuasione personale), che produce accidentalmente il peccato”, insegnano i Padri della Chiesa. Pecchiamo soltanto come persone, come distinzioni uniche e irripetibili. Ci distacchiamo con la nostra gnômê (persuasione personale) dalla comunanza della natura e soffriamo così ogni male perché la gnômê (persuasione personale) “contraddistingue la persona”. La Tuttasanta è rimasta immune dal peccato anche prima dell’Annunciazione, precisamente perché mai ha abbandonato la comunanza della natura per seguire, con la sua volontà gnomica, la scelta o l’inclinazione personale. Questo non significa certo che essa abbia messo in secondo piano la propria personalità nel suo sforzo di adattarsi alle condizioni della vita divina. Significa soltanto che non ha permesso a nessuna influenza innaturale di agire al di sopra della sua natura umana. Perché sapeva che ogni influenza di tal genere consentiva alla sua natura di muoversi al di fuori del binario prestabilito dallo stesso Creatore. Perché appunto questa è la libertà della natura. Di muoversi sempre, senza interruzione, verso il suo Creatore; non la sua possibilità di scegliere, ma la sua possibilità di superare ogni dilemma con un continuo movimento verso una destinazione fissa, verso “il fine beato per il quale tutto è stato fatto”.
Se un essere umano si attiene alla sua destinazione, secondo natura, e aspetta e vede il suo “fine”, ha come conseguenza immediata di rimanere senza peccato: “non partecipare al peccato è un’opera della natura”, insegnano i grandi Maestri e Padri della Chiesa.
Se l’uomo fosse stato soltanto natura non avrebbe mai potuto cadere nel peccato. Ma l’uomo non è solo natura; egli ha, altresì, un “modo di esistenza”: per questo è possibile peccare, sbagliare il bersaglio, non arrivare al “beato fine”. Il detto: “Non esiste un uomo che vive che non peccherà” non è motivato dalla natura umana in se stessa, perché in questo caso il peccato verrebbe attribuito allo stesso Dio, creatore di una natura cattiva. È motivato, invece, dal “modo di usare” la natura, modo che “è una proprietà assoluta di colui che usa la natura e che lo fa distinguere da tutti gli altri”. L’utilizzo personale del mondo e specialmente del corpo e dell’anima, in particolare della volontà, rende gli uomini capaci di peccare (cf Rom 5,19), semplicemente perché li separa dalla comunanza della natura, aggiungendo ad ognuno la particolarità di una cultura, di una educazione, di una civiltà, di un’arte, di una razza, di un colore, di una nazionalità, in maniera tale che tutti risultano distinti e separati. Essi si allontanano così dalla loro comune eguaglianza ed identità che avrebbe loro permesso di rimanere umili e innocenti come bambini.
La Tuttasanta ha evitato di appropriarsi della sua natura; ha evitato di accettare la precedenza del “modo di esistere” rispetto alla natura comune. Mai ha dato la priorità ad un modo di esistere proprio, per sperimentare il piacere di diversificarsi “contro natura”, che separa la natura umana in gruppi che sono in lite e guerra fra loro. Conoscendo con la sua esperienza che la “comunione” con Dio e con gli esseri umani si fa soltanto tramite le energie naturali (increate nel caso di Dio) e non tramite le persone, ha sottomesso il suo “modo di esistenza” alla sua natura, per non mutare la natura, con questo “modo di esistenza”, verso l’amore di se stessa o l’interesse proprio, isolandola dalla continua “comunione” con Dio.
La Madre di Dio non poteva sviluppare una “propria volontà” contraria alla volontà comune della natura, precisamente perché ha sottomesso la gnômê (persuasione personale) alla forza volitiva della natura, non permettendole di imprigionarla nel peccato.
Quando la volontà naturale fa il suo lavoro, e nessuna mutazione della persuasione personale minaccia la sua forza, per indurla a delle scelte personali (con i desideri e le tensioni correlative), l’uomo sperimenta la libertà, che lo unisce a Dio e non lo lascia distinguersi come persona che si appropria della natura e si allontana da Dio (peccato).La libertà secondo natura è al contempo libertà dal peccato e sottomissione reale a Dio. Per questo motivo i Padri della Chiesa non fanno nessuna distinzione fra libertà e volontà, ma identificano la volontà naturale con la libertà e la volontà personale con il peccato. Non intendono certo affermare, in questo modo, che la natura umana abbia, a partire dalla creazione, due volontà (naturale e gnomica, cioè personale); conoscono, infatti, dalla loro esperienza che, perché possa esistere una volontà personale, l’uomo deve appropriarsi della forza volitiva naturale per soddisfare mire e desideri che sono contrari alla natura, vivendo solo in termini personali e lottando contro la natura comune. Per questo motivo l’orgoglio è il peccato più grave, perché è uno sforzo continuo teso a smentire la libertà naturale, la bontà, l’amore, che l’uomo ha a causa della creazione, e a farli apparire come riuscite personali di alcuni esseri umani, cosicché la lode sia riferita a questi e non a Dio che è il creatore “di ogni virtù degna di lode”. Secondo l’antropologia ortodossa, però, l’essere umano, per diventare pieno di virtù e senza peccato, non deve compiere imprese personali, semplicemente perché la virtù e il non peccare sono dati naturali: “infatti, sono naturali le virtù e naturalmente esistono tutte, anche se tutti noi non operiamo le cose della natura; infatti se tutti attuassimo in modo uguale le proprietà della natura, scopo per il quale pure siamo nati, allora si rivelerebbe in tutti, come una sola natura, così anche una sola virtù, che non ammette il più e il meno”. Quando un essere umano opera le cose naturali, significa che si mantiene libero dal peccato. Nessuno ha allora bisogno di nascere “con l’immacolata concezione” per assicurarsi il fatto di non commettere peccati. È necessaria però la nascita dalla vergine per Colui che “vuole eliminare chi ha il dominio della morte” e liberare dal potere del diavolo e della corruzione tutti quelli che sono loro schiavi. Per questo motivo la Tuttasanta viene concepita come tutti gli esseri umani dopo la caduta e muore, come tutti dopo la caduta, per confermare sia la mortalità terrena che essa aveva e che aveva trasmesso a suo Figlio, sia il fatto che né la caduta né la corruzione hanno potuto mai eliminare la possibilità per l’uomo di vivere secondo natura, cioè senza peccare: “È possibile, anche se abbiamo un corpo mortale, non peccare”, sentenziavano i Padri.
Molti teologi non hanno capito questa nozione semplicissima e confondono il “non commettere peccati” vivendo “secondo natura” con la divinizzazione “sopra i limiti della natura”. Così credono che chi vive “secondo natura” e non commette peccati sia già salvato. La grandissima differenza fra il “non commettere peccati” e la “divinizzazione” è stata conosciuta con l’incarnazione del Logos. La mancanza totale di peccato nel Logos non dipende solo dal fatto che Egli operava le cose della natura vivendo “secondo natura”, ma principalmente dalla mancanza del “modo di esistenza (persona)” umano (mutabile, cioè), che può cadere o subire le conseguenze della caduta. A questo punto la natura umana che Egli ha assunto non aveva nessuna possibilità di peccare. I Padri della Chiesa sono andati oltre e hanno chiarito che la divinizzazione della natura umana del Dio-uomo non è solo l’effetto dell’unione delle due nature, ma principalmente è la conseguenza dell’unione ipostatica: “perché la carne rimanga carne secondo l’essenza e diventi Divina secondo l’ipostasi” . La divinizzazione della natura umana di Cristo viene fatta con l’ingresso di questa natura nell’ipostasi increata di Uno della Trinità, in modo tale che la natura umana rimanga nel contempo creata secondo la sostanza e increata secondo “il modo di esistenza”. Così, quello che Cristo assume (il proslêmma) non ha una persona umana, anche se non rimane mai privato di persona, perché ha come sua persona l’ipostasi increata del Logos
Questa “divina Ipostasi incarnata” ha reso Madre di Dio la Tuttasanta; la divina Ipostasi è uscita dalla sue viscere, divinizzando anche Maria “per grazia”, per contatto, ma non secondo l’ipostasi.
Così la Madre di Dio diventa Madre di Vita e di Salvezza, non solo per se stessa, ma anche per tutta la natura umana, adattando la sua gnômê (persuasione personale) e il suo modo di esistenza alla chiamata di Dio alla salvezza di questa natura. Ella sapeva infatti per esperienza che non basta la volontà di Dio per effettuare la salvezza delle creature razionali, ma vengono richieste anche l’intenzione e la cooperazione di coloro stessi che devono esseri salvati. E così “l’intenzione dei chiamati ha operato la salvezza”. Vivendo secondo natura, Maria era in grado di rispondere spontaneamente sia alla chiamata di Dio a diventare sua Madre, sia al sopraggiungere della morte.Nel primo caso serviva solo la forza della volontà naturale per dire “Sia fatta la tua volontà. Nel secondo caso però Ella doveva accettare la morte con la sua persuasione personale (gnômê), come un’ultima fase del mistero della salvezza, perché la volontà naturale da sola non è in grado di accettare il nemico della natura mortale. Così la Tuttasanta poteva, conservando con umiltà la sua invisibilità per il mondo, percorrere tutto lo spazio delle possibilità umane, come suo Figlio, rimanendo anche lei, come Lui, “libera nella morte” e ritornando molto presto nel suo corpo in gloria, come una vera Madre della Vita: “per questo è impossibile per lei essere dominata dalla morte”
Per la sua preghiera, Cristo, nostro Dio, salvaci!
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