giovedì 14 febbraio 2013

Nient'altro che la verità

Nel 1998, in un'estate alpina un po' hippy, conobbi due studenti del seminario (i nomi sono stati cambiati): il più giovane, Mattia, era un tipo tranquillo con un placido sorriso stampato in faccia e una pazienza infinita con i suoi ragazzi scatenati, sembrava fatto apposta per le piccole chiesette del'alto Piemonte con la loro vita sempre uguale a sè stessa, senza santità ma anche senza grossi turbamenti; Andrea, un anno in più, era all'opposto: simpaticissimo, sempre in movimento, suonava il pianoforte, si lanciava nei balli, cantava a gran voce e, come se non bastasse, quando passava anche le pietre si sarebbero girate a guardarlo.


Fu veramente molto duro accettare l'idea che l'avrei rivisto solo ogni tanto a qualche festa o al prossimo campo estivo: almeno era quel che credevo, ma anche arrampicarmi sugli specchi così mi andava bene, anche se lui era lo studente più brillante del suo corso e io ero solo una ragazzina col pallino della scienza. Non credo che Andrea si sia mai accorto di nulla.

Poco più di un anno dopo, gente balorda mi strappò via dal mio ambiente e per alcuni anni fui una schiava, non da marciapiede ma da stracci e punture, che forse a quell'età è anche peggio. Riuscii a tenere duro trasformandomi in una vipera che pensava solo alla fama e a comandare e influenzare il prossimo.

Da allora sono passati quindici anni: grazie a Dio e ad un miracolo chiamato amore oggi sono un'altra persona, anche se per motivi di salute ho dovuto rinunciare definitivamente alla montagna; uno dei compagni di allora è in Paradiso, una è diventata buddista, gli altri sono sparsi per l'Italia e per il mondo; per il colmo dell'ironia, i due studenti sono stati entrambi assegnati come parroci al paese dove vivevo, proprio quando stavo iniziando a rifarmi una vita in città e di Andrea non mi importava più nulla. Ma il bello doveva ancora venire.

Lui, il capogruppo dall'allegria incontenibile, è diventato conformista e con un pessimo carattere: se non mi fosse ormai indifferente lo prenderei a testate, ma a causa di ciò che professo non ho più motivo di averci a che fare; Mattia invece, su cui non avrei scommesso una lira, con la sua solita flemma sta dando inizio a una rivoluzione. Tanto per cominciare porta sempre l'abito lungo che non si vedeva più da circa cinquant'anni, senza scomporsi davanti ai brontolii della vecchia generazione che aveva abolito quella divisa. Inoltre accompagna i fedeli che vogliono visitare i santuari dell'una o dell'altra apparizione, ad evitare che ascoltino troppe frottole, invece di guardarli dall'alto in basso come fanno tanti altri. Poche settimane fa ha anche tentato di ripristinare il rito tridentino, una possibilità che esiste già da qualche anno ma che nessuno aveva ancora osato in una zona dove i credenti sono pochi e per lo più anziani e progressisti.

Ovviamente quasi tutto il paese ha disertato, e le occhiate sono state più gelide che mai, ma Mattia non si scompone e ha già annunciato di voler ripetere il tentativo più volte finchè la gente non si sarà abituata. Viene da chiedersi che cosa abbiano creduto e venerato queste persone, se trattano così un religioso che sta cercando di limitare almeno l'ultima parte della valanga di errori teologici che ha soffocato tutto il secondo millennio dopo Cristo: non basta la forza di un'ideologia solo umana per provocare tanta ostilità, c'è sotto dell'altro e credo che lui se ne renda conto, a rischio di farsi detestare. Mi spiace molto, perchè anche se non lo dà a vedere certo questi atteggiamenti gli stanno facendo male.

Certo restano ancora molti passi da fare perchè in quasi tutti i Paesi latini taccia la superstizione e le chiacchiere moderniste, ed entrando in una chiesa non si senta nient'altro che la verità: ma credo che il buon Dio stia apprezzando lo sforzo, e sono felice che quando lascerò per sempre quel paese che mi ha creato un mare di guai, l'ultimo ricordo sia l'immagine di quel pretino che divenne un uomo coraggioso.

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